Decide tutto Bruxelles, il nostro voto non conta più
La democrazia europea è praticamente finita: gli spagnoli possono ancora bocciare Zapatero, ma il governo Rajoy dovrà vedersela innanzitutto con Bruxelles, i cui tecnocrati non-eletti avranno l’ultima parola sul futuro della Spagna, così come su quello degli altri paesi membri, fino ai casi limite dell’Italia e della Grecia, già sostanzialmente commissariate. Giro di vite definitivo: il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, e quello della Commissione europea, José Manuel Barroso, hanno annunciato che nelle prossime settimane presenteranno un piano per rafforzare ulteriormente i poteri di “sorveglianza, intervento e sanzione” degli organi tecnocratici centrali europei nei confronti degli Stati membri.
In sintesi: le singole leggi “finanziarie”, prima di essere adottate dai parlamenti nazionali, dovranno essere esaminate e valutate da Bruxelles, che potrà anche imporre modifiche: chi non dovesse rispettare la disciplina economica europea su costo del lavoro e riduzione della spesa pubblica verrà punito con la sospensione del diritto di voto in Consiglio europeo e con il blocco dell’erogazione di fondi strutturali e altri pagamenti. “PeaceReporter” registra l’allarme di Stefano Squarcina, funzionario europarlamentare della Sinistra Unita Europea. La realtà è questa: si profila un’ulteriore cessione di sovranità nazionale all’Unione europea, tanto che sia Van Rompuy che Barroso hanno parlato della necessità di modifiche al Trattato di Lisbona, la nuova “carta costituzionale” dell’Unione, già molto restrittiva nei confronti delle autonomie nazionali.
«In teoria – dice Squarcina – un simile rafforzamento dei poteri centrali europei dovrebbe passare per una modifica del Trattato democraticamente approvata dai singoli Stati». Nulla di tutto ciò è sul tappeto: si procede per decisioni imposte dall’alto. «Il sistema del “Semestre europeo” in vigore dallo scorso gennaio, il patto “Euro Plus” dello scorso marzo e il “Six Pack” di ottobre già prevedono l’intervento centrale dell’Ue nella definizione e nel monitoraggio delle politiche di bilancio degli Stati in sofferenza: gli esempi della Grecia e dell’Italia parlano chiaro. Oggi ci sono le letterine della Bce che dettano ai governi nazionali cosa fare e i controllori europei inviati ad Atene e a Roma per assicurarsi che venga fatto: domani potranno venire introdotti sistemi di governance più strutturati, senza modificare il Trattato di Lisbona».
Decisioni di cui ben pochi hanno sentito parlare: chi le ha prese? «Da alcuni anni le decisioni importanti in ambito Ue vengono prese non a livello comunitario, ma a livello intergovernativo, ovvero dal Consiglio europeo formato dai capi di Stato e di governo, dove ovviamente hanno più peso i governi più forti, quelli falsamente ritenuti più virtuosi: Germania e Francia, per essere chiari. Le proposte nascono politicamente a questo livello, la Commissione le elabora e le traduce in provvedimenti che tornano al Consiglio per l’approvazione, previo parere, puramente consultivo, del Parlamento europeo», cioè l’unico organo comunitario regolarmente eletto.
Peso piuma, e anche perfettamente allineato: escluse le piccole opposizioni, l’euro-Parlamento approva senza batter ciglio il verticismo di Bruxelles: «Sia la maggioranza di centro-destra del Partito popolare europeo, in sintonia con i governi di Berlino e Parigi e con le loro politiche neoliberiste di austerità e regressione sociale, sia i Liberal-democratici di cui fa parte l’Italia dei Valori, sia l’Alleanza progressista di cui fa parte il Pd hanno detto sì». Purtroppo, aggiunge Squarcina, il centro-sinistra europeo non è alternativo all’attuale politica economica dell’Ue, che «non è affatto tecnica e neutrale», tutta incentrata com’è «su tagli di salari e pensioni, smantellamento dei servizi sociali e privatizzazioni». Il vero problema? «Anche se ci fosse un Europarlamento che bocciasse le misure di Consiglio e Commissione, il suo voto contrario non avrebbe alcun peso». Democrazia, addio.
«L’Unione europea soffre di un gravissimo deficit democratico», accusa Squarcina. «Il Parlamento europeo, unico organo democratico in quanto eletto, ma dotato di poteri a dir poco limitati, sta lì a dare legittimità democratica a istituzioni che non ne hanno. Commissione, Consiglio e Bce sono istituzioni tecnocratiche, espressione di interessi economici privati o di singoli Paesi forti». Tant’è vero che «la reazione isterica dell’Ue di fronte all’eventualità del referendum greco e il licenziamento dell’ex governo italiano, per quanto indifendibile, dimostrano che siamo di fronte a una situazione di sospensione della democrazia». Come uscirne? Teoricamente, in tre mosse: potere di veto all’euro-Parlamento, controllo sulle missioni europee dei governi nazionali e riforma della Bce.
Per riequilibrare il governo europeo in senso democratico, sostiene Squarcina, occorre innanzitutto confire maggiori poteri all’unico organismo elettivo, cioè il Parlamento europeo, rappresentante della volontà popolare: l’assemblea di Strasburgo dovrebbe essere dotata del potere di bocciare i provvedimenti di Commissione e Consiglio, esattamente «come avviene per i parlamenti nazionali: se non approvano un decreto o un disegno di legge del governo, quelli non entrano in vigore». Poi, i Parlamenti nazionali: «Quando un capo di Stato o di governo va in Consiglio europeo deve essere investito di un mandato parlamentare, come accaduto in Germania a ottobre, quando il Bundestag ha votato su quello che la Merkel andava a discutere a Bruxelles».
Infine l’altra pietra miliare, la Bce: «E’ fondamentale che diventi una banca centrale a pieno titolo, come la Federal Reserve e la Bank of England, che non si limitano a contrastare l’inflazione come impone lo statuto della banca di Francoforte, ma agiscono anche a sostegno della crescita e dell’occupazione con politiche espansive». Piccolo problema: nessuno, dei “padroni d’Europa”, ha in mente il benché minino “ritocco” democratico dell’euro-struttura. Zero assoluto da Strasburgo, dove centro-destra e centro-sinistra approvano senza fiatare i diktat dei tecnocrati al potere. Per gli osservatori più critici, siamo di fronte a un «golpe finanziario europeo», imposto con l’adozione della moneta unica e la perdita definitiva della sovranità democratica. Unica possibile via d’uscita: un’ondata di referendum europei. Più che una prospettiva, un sogno.