Carlo Giuliani No-Tav, in memoria di “Sole e Baleno”
«Ci vogliono morti perché siamo i loro nemici, e non sanno che farsene di noi perché non siamo i loro schiavi». Parola di Soledad Rosas, giovane anarchica argentina trovata morta in stato di detenzione l’11 luglio 1998, poco dopo il decesso del suo compagno Edoardo Massari, rinvenuto a sua volta impiccato nel carcere torinese delle Vallette. E’ la tragica fine della storia di “Sole e Baleno”, per molti aspetti ancora oscura, come quella dei 12 attentati dinamitardi e incendiari che nei mesi precedenti avevano scosso la valle di Susa. Di quegli attentati, affrettatamente definiti “eco-terroristici”, i due giovani erano stati erroneamente accusati, per poi essere scagionati fuori tempo massimo, post mortem. Tredici anni dopo, quella tragedia pesa ancora. Aggravata dallo strazio per l’anniversario della morte di una terza vittima, anch’essa legata ai primordi della causa No-Tav: Carlo Giuliani.
Nel giorno in cui qualche immancabile fenomeno ha accostato al movimento valsusino persino l’incendio alla stazione ferroviaria di Roma-Tiburtina («tra un po’ ci accuseranno anche della strage di Oslo», ironizzano amaramente i No-Tav sul web) il fantasma del ragazzo ucciso a Genova nel 2001 è ricomparso nel cuore della resistenza popolare valsusina, al campeggio di Chiomonte, di fronte ai reticolati del “fortino” della polizia che un giorno potrebbe ospitare l’avvio del contestatissimo cantiere della Torino-Lione. E’ il 24 luglio 2011, una domenica di sole e vento con almeno 300 “penne nere” che sfilano davanti ai soldati della Taurinense cantando “Sul cappello che noi portiamo”, per ricordare ai militari di professione che lo “spirito alpino” appartiene «a chi difende le valli, non a chi le assedia». Trecento metri più in là, fra le tende formato famiglia, Haidi Giuliani e suo marito tributano un omaggio alla causa valsusina: «Il G8 di Genova oggi è qui, alla Maddalena».
Carlo Giuliani: il simbolo del selvaggio massacro esploso nelle piazze, poi nelle torture inflitte nella caserma di Bolzaneto e nella “macelleria messicana” della scuola Diaz. Eroe, martire. Oppure: teppista armato di estintore, a seconda dei punti di vista. Il dibattito sul giovane manifestante no-global assassinato in piazza Alimonda ha rinfocolato puntuali polemiche dieci anni dopo, purificate poi dalla marcia della delegazione No-Tav per le strade di Genova, tra gli applausi dei genovesi. «C’eravamo già nel 2001 – ricorda Nicoletta Dosio – perché avevamo capito che quella maledetta globalizzazione non avrebbe portato niente di buono, ma solo devastazioni come la Tav». Ne era convinto anche lui, Carlo Giuliani, deciso a spingersi a Torino per protestare: «Era un ragazzino sveglio», lo ricorda la madre, Haidi, «e aveva capito per primo che cosa stava succedendo qui in valle di Susa. E’ venuto per primo, ha manifestato a Torino quando sono stati uccisi “Sole e Baleno”».
“Uccisi”, dice Haidi Giuliani. E spiega: «Da allora ho conosciuto molte “morti di carcere”, ma nessuna è stata così limpida da far pensare al suicidio. E comunque, il suicidio si può anche indurre in molti modi». Dalla valle di Susa – dove i due giovani anarchici vagheggiavano una lotta contro la Torino-Lione quando il movimento No-Tav non era ancora divenuto un fenomeno di massa – un’ombra si allunga fino alle suggestive ricostruzioni processuali dell’omicidio di piazza Alimonda, col proiettile-killer che sarebbe stato “sparato in aria”, dove avrebbe incontrato – in volo – un sampietrino, che l’avrebbe fatalmente “deviato” fino a centrare il cranio della vittima. La famiglia ha persino avanzato il dubbio che a uccidere il ragazzo non sia stato il carabiniere Mario Placanica, intrappolato nel gippone assediato dalla folla, ma qualcun altro. Il padre, Giuliano, chiama «bastardo» chi ebbe il coraggio di infierire sul cadavere ancora caldo: «Gli spaccarono la fronte con un sasso, per poi tentare di dire che Carlo sarebbe stato ucciso da un dimostrante».
Stretti dall’abbraccio di centinaia di valsusini, sulla riva della Dora Riparia, i coniugi Giuliani fanno vibrare l’aria più dell’elicottero che li sovrasta con insistenza; la loro è una testimonianza a viso aperto, tra famiglie con bambini e molti vecchi alpini in congedo, a poche centinaia di metri dai cordoni di polizia che sigillano il “fortino” della Maddalena, le cui recinzioni vengono percosse ritmicamente dai dimostranti No-Tav. I giornali parlano di “scontri”, hanno evocato invasioni di “black bloc” ed esasperato i valligiani, “gasati” dai lacrimogeni Cs e sistematicamente criminalizzati. Giuliano, il padre di Carlo, allude agli agenti antisommossa: «Non sono tutti disponibili a commettere abusi, bisogna trovare il modo di parlare con loro e democratizzare le forze di polizia, cominciando con l’imporre – come nel resto d’Europa – un marchio identificativo ben visibile sull’uniforme di ciascuno».
Nella loro missione in valle di Susa, pensando al loro ragazzo ucciso, i Giuliani offrono un’altra lettura della crisi sociale valsusina, mettendo in relazione Carlo con “Sole e Baleno”, quasi fossero tre “caduti” della causa No-Tav: morti in modo atroce, l’uno lontano dagli altri, eppure avvicinati dal medesimo sentimento di giustizia. Da allora, la valle di Susa avrebbe impiegato anni per mettere alle corde le istituzioni, con la quasi-insurrezione popolare del 2005 che pose fine al primo progetto Torino-Lione. Ora, dopo altri sei anni di inutili prove di dialogo, il copione non cambia: la grande opera s’ha da fare, punto e basta, senza spiegazioni. Solo che, rispetto ad allora, il clima è peggiorato: «Adesso non è più possibile alzarsi in piedi e dire “non sono d’accordo”», protestano i Giuliani: «Ti considerano subito una specie di delinquente, ti sparano addosso lacrimogeni, ti prendono a manganellate. Con un alleato formidabile: la cattiva informazione, che tutto distorce, tra silenzi, omissioni e menzogne».
Nel giorno in cui i Giuliani in valle di Susa evocano le ombre di Carlo, di Soledad e di “Edo” Massari detto “Baleno”, i quotidiani scrivono che a Chiomonte sarebbe stato “individuato” tra i manifestanti No-Tav l’ex terrorista Stefano Milanesi, di Prima Linea, peraltro già “segnalato” nel 2005 dall’allora ministro Pisanu, quello che ordinò il brutale sgombero notturno del campus No-Tav di Venaus. In realtà, Milanesi è valsusino: scontata la pena, è tornato semplicemente a casa e partecipa alla vita sociale della valle. Ben sapendo che proprio il passato eversivo di alcuni giovani valsusini, all’epoca degli “anni di piombo”, ha alimentato teoremi pericolosi negli anni a venire, quando la Tav era percepita come una minaccia ancora lontana, all’orizzonte. Era la fine degli anni ’90: le notti della valle di Susa erano sconvolte dalle esplosioni; saltavano in aria trivelle, centraline autostradali, ripetitori telefonici e televisivi. Mai una vera pista, solo dei volantini firmati “Lupi Grigi”. Poi, l’arresto di “Sole e Baleno”, giustificato inizialmente da “prove granitiche”, dissoltesi nel nulla dopo la loro morte.
All’epoca si sprecavano i titoloni: eco-terrorismo, squatter, anarco-insurrezionalisti bombaroli. La battaglia No-Tav sembrava annunciarsi rischiosa, inquinata, potenzialmente eversiva, appannaggio di minoranze violente. Poi, la valle di Susa ha fatto il miracolo: è scesa in strada, ha preteso spiegazioni, ha dato vita a un movimento popolare le cui dimensioni hanno spiazzato tutti. Nessuno si aspettava tanta tenacia. E se oggi i giornali stampano gli stessi titoloni per lo scoppio di qualche bomba carta – ben lungi dal ricordare la storia oscura delle bombe di allora, quelle vere – non importa: la valle di Susa resiste, conquistando consensi in tutta Italia, da Roma a Genova. E per un giorno, all’indomani dell’anniversario del G8, abbraccia il dolore di Haidi e Giuliano, saliti a Chiomonte a ricordare il loro Carlo, insieme agli indimenticati “Sole e Baleno”.
(Sul sito “NoTav.info” il video dell’intervento di Haidi Giuliani)
Mi scrive un amico: <>
Perché non esiste “buono” o “cattivo”.
Esiste che io mi impegno a fare il mio lavoro, a portare a casa la pagnotta, come te, come i tuoi familiari, e come fa un lavoratore nelle forze dell’ordine. Ma sempre nei limiti del rispetto della altrui dignità e dei diritti umani. O per lo meno della LEGGE.
Se l’azienda per cui lavoro opera un abuso, o peggio un reato, la legge 231/01 (http://www.legge231.net/) mi IMPONE di comunicarlo istantaneamente ad un mio superiore, o ad una “authority” appositamente nominata che ha l’incarico di vigilare dall’esterno, se non me la sento di rivolgermi alle forze dell’ordine, o non sono sicura che si tratti di un reato. L’azienda dove lavoro è stata obbligata a predisporre persino un’urna per le segnalazioni anonime dei lavoratori.
In pratica se il mio datore di lavoro decide di fare qualcosa di illecito e io lo eseguo, anche solo per non perdere l’impiego, sono comunque responsabile di ciò che ho fatto oppure ho VISTO ma non ho denunciato, o contribuito a fermare. E la Polizia? Perché dovrebbe essere esentata dall’essere responsabile di eventuali abusi/soprusi?
Non esiste “buono” o “cattivo”, esiste la discussione per il benessere comune, esistono le perplessità sull’operato dei politici e di chi dovrebbe fare il lavoro di cercare le migliori soluzioni per il Paese o per il Pianeta.
Non esiste “buono” o “cattivo”, solo che qui ci sono dei morti in terra.
Scusate: la domanda dell’amico era:
“provocazione…. perche piuttosto di continuare a dire cose dovrebbero essere le cose, non accettiamo la natura delle cose e non abbiamo il coraggio di dire “non esistono poteri buoni”".
COME SOLE E BALENO, COME CARLO GIULIANI: ELKE MEYVIS
http://italy.indymedia.org/node/1647