Il Vaticano condanna Saramago, anche da morto
Non è ancora stato sepolto che Josè Saramago riceve l’ultima dura critica dal Vaticano: una contrapposizione che ha una lunga storia, mai sopita neppure dal Nobel per la letteratura che lo scrittore ebbe nel 1998. Anzi. Al centro del dissidio non solo l’ideologia di Saramago, apertamente marxista, ma anche due libri: “Il vangelo secondo Gesù Cristo” (Einaudi 1991) e “Caino” (Feltrinelli 2010). Oggi l’Osservatore Romano – in un articolo dal titolo “L’onnipotenza (presunta) del narratore” – lo ha definito un ideologo anti-religioso, «un uomo e un intellettuale di nessuna ammissione metafisica, fino all’ultimo inchiodato in una sua pervicace fiducia nel materialismo storico, alias marxismo».
«Lucidamente autocollocatosi – ha aggiunto il quotidiano – dalla parte della zizzania nell’evangelico campo di grano, si dichiarava insonne al solo pensiero delle crociate, o dell’inquisizione, dimenticando il ricordo dei gulag, delle “purghe”, dei genocidi, dei samizdat culturali e religiosi». Forse, se fosse stato ancora vivo, lo scrittore portoghese avrebbe ripetuto le parole che pronunciò sul brasiliano “O Globo” dopo l’ennesimo attacco della Santa Sede al suo Vangelo: «Il Vaticano non deve pronunciarsi sui meriti letterari di chicchessia. Io non appartengo alla Chiesa, non sono credente, il mio lavoro è il mio lavoro. Ci sono molte cose delle quali il Vaticano dovrebbe preoccuparsi. Cose per le quali potrebbe avere un’azione benefica, e invece non ne ha nessuna». E specificò di non criticare il credo o la fede, ma «l’amministrazione della fede».
“Il Vangelo secondo Gesù Cristo” – definito a suo tempo dalla rivista del gesuiti “Civiltà cattolica” un libro kitsch – partiva dall’assunto dell’inesistenza di Dio e che «la sua invenzione» fosse parte «della follia umana, quella follia che nel mondo aumenta ogni giorno e fa dell’uomo l’unico essere irrazionale della terra, l’unico che usa la ragione per fare il lavoro della morte». «La storia della religione – spiegò lo scrittore motivando il libro – è una storia di sofferenza e anche se si parla di Dio per il suo amore e la sua misericordia, nel suo nome gli uomini hanno negato ogni amore e compassione: questo volevo raccontare nel “Vangelo secondo Gesù”», e se tutto quello che non ripete il dogma dei cattolici è una bestemmia, allora questo libro è senza dubbio blasfemo».
Il libro, liberamente ispirato alla sua vita, descriveva Cristo come un uomo sensibile pieno di debolezze – tra le quali l’attrazione carnale per Maria Maddalena – e di virtù che non riesce a gestire in piena autonomia. Il mite Gesù è contrapposto da Saramago a Dio, suo padre per «improvvisi bisogni sessuali», un vero e proprio pazzo sanguinario alleato del Diavolo che usa l’inconsapevole figlio per accrescere il proprio potere sulla terra. “Caino” – uscito a venti anni esatti dal “Vangelo” – era invece per Saramago l’occasione di una riscrittura personalissima della Bibbia. Dall’Antico Testamento, Saramago sceglie la personificazione biblica del male, Caino che uccide suo fratello Abele ma, capovolgendo la prospettiva tradizionale, ne fa un essere umano né migliore né peggiore degli altri.
Mentre il dio che viene fuori dalla narrazione è un dio malvagio, ingiusto e invidioso, che non sa veramente quello che vuole e soprattutto non ama gli uomini. Cacciato e condannato a una vita errabonda, il destino di Caino è quello di un avventuriero che viaggia a cavallo di una mula attraverso lo spazio e il tempo, in una landa desolata agli albori dell’umanità dove attraversa tutti gli episodi più significativi della narrazione biblica: la cacciata dall’Eden, l’insaziabile Lilith, il sacrificio di Isacco, la costruzione della Torre di Babele.
Oggi l’Osservatore Romano è tornato all’attacco: «Un populista estremistico come lui – lo ha definito – che si era fatto carico del perché del male nel mondo, avrebbe dovuto anzitutto investire del problema tutte le storte strutture umane, da storico-politiche a socio-economiche, invece di saltare al per altro aborrito piano metafisico e incolpare, fin troppo comodamente e a parte ogni altra considerazione, un Dio in cui non aveva mai creduto, per via della Sua onnipotenza, della Sua onniscienza, della Sua onniveggenza».
(da “La Stampa” del 20 giugno 2010, www.lastampa.it).