Intercettazioni, Ingroia: chi ha paura della verità
Le intercettazioni sono decisive per la lotta alla mafia: senza di esse, le prove sarebbero spesso soltanto indiziarie, affidate alle sole rivelazioni dei pentiti. La mafia le teme, perché sa che proprio dalle intercettazioni sono nate le vittorie dell’antimafia, e non solo. Alcuni “misteri” italiani, tra cui l’assassinio del presidente dell’Eni, Enrico Mattei, potrebbero essere risolti grazie alla rilettura di registrazioni. Lo afferma da Palermo il procuratore aggiunto antimafia Antonio Ingroia, autore di un lungo intervento su “Il Fatto Quotidiano” che ricostruisce il ruolo strategico delle intercettazioni nella lotta al crimine in Italia.
Mentre dilaga sui media una «campagna di disinformazione» che dipinge le intercettazioni come uno strumento pericoloso e liberticida, tra slogan e semplificazioni (per Clemente Mastella le intercettazioni sono «un’emergenza civile», per Bruno Vespa «una schifezza»), secondo Ingroia «in tanti pontificano, ma pochi sanno veramente qualcosa sulla pratica attuale delle intercettazioni». E quel che è peggio, «pochi sanno che è proprio grazie alle intercettazioni che si è fatta la storia giudiziaria del nostro Paese: delitti impediti e stragi evitate, assassini individuati e arrestati, cittadini salvati, armi recuperate, droga sequestrata, corruzione scoperta».
Persino il maxiprocesso, che nel ’92 trascinò alla sbarra 475 imputati di Cosa Nostra (e a cui la mafia reagì con le stragi) nacque proprio da alcune fortunate intercettazioni. «Tutti sanno che i pilastri sui quali si fondava l’impianto di quel processo erano le rivelazioni dei pentiti della ‘prima generazione’ ed in particolare quelle di Tommaso Buscetta», osserva Ingroia, «ma pochi si chiedono come nacque la collaborazione di Buscetta». Lo “spessore criminale” del futuro super-testimone emerse proprio da intercettazioni decisive.
Pietra miliare dell’antimafia, il processo a Luciano Liggio dopo indagini che costarono la vita al capitano dei carabinieri Giuseppe Russo e poi al giudice Cesare Terranova. «E su cosa si fondava quell’istruttoria, se non su un mosaico probatorio costituito prevalentemente da intercettazioni telefoniche?». Persino nell’indagine indagine sulla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, avvenuta a Palermo il 16 settembre 1970, registrazioni e intercettazioni furono al centro dell’attenzione degli investigatori, così come lo sono tuttora, più di trent’anni dopo, nel processo in corso a carico di Totò Riina, l’erede di Liggio.
Secondo un’intercettazione non trascritta e mai più ritrovata, forse distrutta da qualcuno, con una telefonata da Parigi uno degli uomini più potenti di Palermo, Vito Guarrasi, avrebbe commissionato “indagini” per verificare presso la famiglia De Mauro cosa avesse scoperto il giornalista. Ancora oggi, continua Ingroia, è al centro di accurati approfondimenti la registrazione dell’ultimo discorso pubblico di Enrico Mattei a Gagliano Castelferrato, in provincia di Enna. Un nastro scoperto da De Mauro, che il giornalista riascoltava ossessivamente, cercando di cogliere meglio una frase pronunciata da qualcuno, che stava sul palco con Mattei, e che era stato registrato accidentalmente. Forse la chiave di due omicidi: quello di Mattei e poi quello dello stesso De Mauro. Per questo è ripartita la caccia all’originale della registrazione, mentre si fanno sofisticate perizie per “ripulire” la traccia sonora contenuta nelle copie riprodotte.
«Le intercettazioni casuali – spiega Ingroia – hanno spesso svolto un ruolo fondamentale in tante importanti inchieste», coinvolgendo soggetti mai posti sotto osservazione, ma entrati in contatto con personaggi posti sotto controllo. Nel 1983 ad esempio si scoprì che Bruno Contrada, allora capo di gabinetto dell’alto commissario antimafia, intratteneva rapporti con Nino Salvo, il potente esattore della mafia, indagato da Giovanni Falcone. Analoghe sorprese spesso provengono dalle intercettazioni ambientali: «Una buona microspia, piazzata nel luogo giusto, può fare sfracelli». Le “cimici” delle Giubbe Rosse canadesi, nel 1976, incastrarono l’italo-americano Paul Violi, smascherando i cartelli criminali del Québec ma anche i legami con boss siciliani come i Cuntrera e i Caruana e la struttura di Cosa Nostra nella provincia di Agrigento. Ben prima di Buscetta, le intercettazioni canadesi contribuirono al maxiprocesso di Palermo.
«Nulla sapremmo oggi della strage di Capaci – aggiunge Ingroia – se non vi fosse stata un’intercettazione chiave». Prima delle rivelazioni di Santino Di Matteo, membro del commando stragista, fu un altro collaboratore di giustizia, Pino Marchese, il primo pentito dei corleonesi, ad aprire uno spiraglio di verità, segnalando gli allora sconosciuti Antonino Gioè e Gioacchino La Barbera. Intercettandoli, si arrivò così al covo – opportunamente microfonato – nel quale i due fecero esplicito riferimento alla strage di Capaci, definendola “l’attentatone”.
Decisivo il ruolo delle intercettazioni anche sul delicato crinale dei rapporti collusivi fra mafia e politica, mafia e affari, mafia e istituzioni, vale a dire sullo scivoloso terreno della contiguità mafiosa, «livello al quale non sempre giungono le rivelazioni dei collaboratori, non al corrente delle relazioni più riservate che i capimafia preferiscono tenere per sé». Ingroia cita famose registrazioni acquisite in processi come quelli a Marcello Dell’Utri, Salvatore Cuffaro e Vittorio Mangano, il famoso stalliere di Arcore, che parlava di “cavalli” (in realtà, eroina) da recapitare in un hotel.
Mangano, che Borsellino riteneva «una delle teste di ponte dell’organizzazione mafiosa nel nord Italia», è lo stesso mafioso «definito eroe da Marcello Dell’Utri e perfino dallo stesso premier Berlusconi. Sempre Dell’Utri, aggiunge Ingroia, è stato itercettato durante svariate conversazioni telefoniche, «ora con un collaboratore di giustizia per incontrarlo e – secondo l’accusa – per influire sulle sue dichiarazioni nel suo processo, ora con la sorella del trafficante di droga Vito Roberto Palazzolo che gli chiede un intervento per aiutarlo in alcuni problemi giudiziari».
Tutto questo, conclude Ingroia, «dimostra che è un falso luogo comune presentare i più noti processi per fatti di mafia nei confronti di personaggi pubblici come fondati sulle sole dichiarazioni accusatorie di collaboratori di giustizia, in quanto molto del materiale probatorio è costituito invece da intercettazioni, il cui materiale d’accusa proviene dalla stessa voce dell’accusato, dalle sue stesse parole». Questo vale per le indagini antimafia, ma anche per quelle sui reati finanziari o contro la pubblica amministrazione.
Visto che si tratta di materie nelle quali è oggi estremamente difficile disporre di prove testimoniali, solo le intercettazioni consentono indagini efficaci: dalla microspia in un bar che registrava le conversazioni fra magistrati del processo Squillante a quelle più recenti fra Gianpiero Fiorani e l’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, fino alle indagini su Calciopoli, Unipol, “furbetti del quartierino”. «Non c’è indagine di rilievo su questo terreno, ormai, che non abbia nelle intercettazioni, telefoniche o ambientali, la parte più consistente della sua piattaforma probatoria», senza contare i tabulati sul traffico telefonico, preziosi contro mafia, terrorismo e criminalità organizzata.
Tabulati che, oggi, guidano le nuove indagini sulla strage di via d’Amelio costata la vita a Paolo Borsellino. «Dai tabulati – rivela Ingroia – sono emersi strani contatti con il Cerisdi, un centro studi che ha sede su Monte Pellegrino, la montagna che sovrasta Palermo, luogo ove sembra si trovasse una sorta di base operativa del Sisde, da dove si è perfino ipotizzato che potesse essere stato azionato il telecomando dell’autobomba di via D’Amelio». Contatti che coinvolgevano anche un uomo legato alla mafia, sospettato di aver messo sotto controllo le utenze telefoniche di Borsellino, anticipandone così i movimenti.
Ingroia parla anche delle «strane triangolazioni telefoniche fra personaggi, luoghi, ambienti» sospettati di essere coinvolti nella strage: «E’ un peccato che proprio ora, che si sono aperti nuovi squarci di luce su una vicenda rimasta troppo a lungo nell’oscurità dei depistaggi, della verità occultata e della giustizia negata, non sia possibile acquisire i dati del traffico telefonico di quelle utenze che appaiono oggi di interesse investigativo, perché la normativa che tutela la privacy dei cittadini lo impedisce», si rammarica il magistrato, che avverte: il disegno di legge governativo oggi all’esame del Parlamento non prevede la possibilità di effettuare intercettazioni in assenza di “evidenti indizi di colpevolezza”, che solo dalle intercettazioni possono emergere.
Ingroia, “allievo” di Borsellino a Marsala, ricorda di quando, insieme al grande giudice antimafia, si imbattè in un’indagine per voto di scambio, con l’incriminazione di un importante politico locale. «Altri tempi, in cui Mani Pulite era ancora lontana». Erano «le prime avvisaglie del disvelamento di un sistema». Borsellino gli disse: «E’ roba da far tremare i polsi, ma è il nostro dovere e bisogna andare sino in fondo». Ricorda Ingroia: «Il principio cardine della nostra carta costituzionale, che fa tutti i cittadini eguali di fronte alla legge, anche quella penale, ce lo imponeva: e così facemmo. Fu quella la nostra bussola, anche negli anni a seguire».
«È forse questo il vero problema?», si domanda oggi Ingroia. «È forse per questo che da anni ormai, anno per anno, si succedono leggi che finiscono per (o meglio hanno proprio la finalità di) indebolire l’azione della magistratura, come il disegno di legge di controriforma delle intercettazioni? È forse per questo – aggiunge – che ci si impegna ad estendere le zone di impunità, come le leggi che hanno ampliato prerogative ed immunità parlamentari e istituzionali, o quelle che hanno ristretto tempi e per l’acquisizione delle prove (intercettazioni e collaboratori) e per la chiusura dei processi (diminuendo i tempi per la prescrizione dei reati ed allungando i tempi del processo)? Voi che ne dite?» (info: www.ilfattoquotidiano.it).
Le intercettazioni…FANNO paura a chi commette reati..che evade denaro in tasse etc..fa paura..ad illeciti di massoneria p2 p3 p4 fa paura a certe banche che finanziano industrie della morte (armi) le intercettazioni fanno paura anche a certe ditte..a certi..comuni..a certe multinazionali che NON rispettano le leggi 626/94-81/2008 che se non rispettate…queste leggi ricadono su quanto si produce e si vende mettendo altre persone a rischio e fanno feriti vari in infortuni morti ugualmente più che in mafia e guerre ma chiamate morti bianche..NON da MENO colpevoli di altri che feriscono ed uccidono ! Pertanto le intecettazioni servono ed in più campi..e chi aiuta a fare uscire “certe” verità andrebbe premiato dallo stesso STATO ITALIANO ! Sia esso un giornalista sia un semplice civile le VERITà vanno raccontate possono scongiurare pericoli per altri anche noi stessi possiamo collaborare fare insomma la nostra parte in aiuto alla giustizia…a fare uscire..in verità che sul lavoro di contratti precari SONO violate le leggi contro di noi che va su altro 626/94-81/2008…
RICORDANDO che in ITALIA vi è la macabra statistica di TRE vitteme giornaliere chiamate MORTI BIANCHE e fanno ripeto..più feriti e morti che lo stesso gruppo mafie e guerre dove l’Italia partecipa in missioni MILITARI di pace.. Con il LAVORO PRECARIO inoltre NON SI VIOLANO solo le leggi 81/2008 ma si violano anche gli Articoli della Costituzione Italiana 1-4 e 36 ! E si viola nel contempo gli Articoli della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo! Pertanto si alle intercettazioni e che la Polizia Postale etc. dia anche una mano..a chi cerca di aiutare..a fare conoscere “certe” verità UTILI in generale a TUTTI un solo infortunio evitato è una vincita per la legalità VA FERMATO pertanto chi i REATI li commette non chi cerca di fare sapere le veritàcosa che vale sia per i giornalisti che per i civili sempre!Naturalmente cosa che vale per fatti di mafia..massoneria..etc.etc. VERITà! Si sa può offendere…
Morando