Expo 2015, Milano nuova capitale della ‘Ndrangheta?
Scritto il 25/7/09 • nella Categoria:
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In vista dell’Expo 2015 le cosche calabresi stanno infiltrando il tessuto imprenditoriale lombardo e spostano il centro dei propri interessi all’ombra della Madonnina, tanto che i magistrati nazionali antimafia avvisano: «Milano è la nuova capitale della ‘ndrangheta e la Lombardia è diventata la quarta regione mafiosa d’Italia». Lo afferma Gian Luca Ursini sul newsmagazine indipendente “PeaceReporter”, in un ampio servizio che aggiorna la geografia criminale italiana partendo dai colossali investimenti in arrivo a Milano per l’expò universale e le sue miliardarie infrastrutture.
Una torta così allettante, gli affari in vista al Nord, da fare pensare che «la prossima guerra di mafia si combatterà nel capoluogo lombardo», come ha previsto Paolo Pollichieni, direttore del quotidiano “Calabria ora”, da anni attento osservatore dell’espansione imprenditoriale della ‘Ndrangheta. Secondo l’ultima relazione della procura antimafia, infatti, i capoclan sono sempre più autonomi e indipendenti dalle famiglie rimaste in Calabria, tanto da preparare gli arsenali per un sempre più probabile scontro tra “scissionisti” (così li definisce il sostituto procuratore nazionale Roberto Pennisi) e cosche rimaste ancorate alla terra d’origine.
«Gli affari languono nel Meridione, per le imprese legate ai clan che negli anni hanno monopolizzato i mercati del calcestruzzo, del movimento terra e inerti, fino a essere presenti in ogni cantiere pubblico e privato in Calabria: nei prossimi anni – spiega Ursini – la torta più grande verrà dalle opere legate alla grande Esposizione universale prevista a Milano nel 2015». E’ il tam tam che si sta diffondendo in quella ristretta comunità di ingegneri e costruttori che si contendevano gli appalti da Caserta in giù.
«Dopo aver lavorato ai macro-lotti Gioia-Palmi e Palmi-Villa San Giovanni dell’autostrada Salerno-Reggio – racconta a “PeaceReporter” un ingegnere veneto trasferitosi da un decennio – la mia ditta, emiliana, mi chiede se sono disposto a programmare i prossimi dieci anni a Milano: si apre un ufficio lì, ci saranno fin troppi appalti da gestire». I clan, aggiunse Ursini, hanno capito che non c’è più da fare affidamento sui grandi appalti nel Sud e, come le ditte “pulite”, ora direzionano la bussola degli affari verso l’altro polo.
«Qui stanno smobilitando tutti», continua l’ingegnere, sotto garanzia di anonimato. «Fino a febbraio mi chiedevano ancora se avevo intenzione di restare perché c’erano grosse aspettative legate al Ponte sullo Stretto, ma poi si è capito che per 5 anni soldi non ne arriveranno». Niente cantieri in vista tra Scilla e Cariddi, quindi tutte le ditte hanno una sola preoccupazione: non rimanere indietro a Milano. «E’ lì che si lavorerà bene. Quelli del posto che ho visto per anni sui cantieri della Salerno-Reggio mi dicono da mesi: ci vediamo in Lombardia. E’ ora di salutare la Calabria».
E’ tempo di preparare i bagagli per il Nord, anche se per i calabresi – osserva Ursini – non è certo un mercato nuovo. «Le imprese legate ai clan hanno messo radici da almeno due generazioni nelle terre tra il Ticino e l’Adda». Già nel 1999 il magistrato milanese Armando Spataro avvisava la commissione parlamentare antimafia di Beppe Lumia come nel capoluogo padano «il 90 percento delle inchieste riguarda clan di ‘Ndrangheta: le mafie della Locride stanno penetrando il cuore finanziario d’Italia».
Una infiltrazione andata a buon fine dieci anni dopo, se nell’ultima relazione della procura antimafia, su 900 pagine, si dedica un lungo capitolo a Milano e ai calabresi in Lombardia, passando a setaccio territori diversi. La metropoli e il suo hinterland, contrinua “PeaceReporter”, sono «appannaggio delle cosche reggine, sia della costa Jonica che Tirreniche, come pure le famiglie di Reggio città, che agiscono in sintonia con i siciliani di Cosa Nostra legati da antichi rapporti con i clan della Locride; in mano a loro la gestione del pizzo degli investimenti immobiliari e le infiltrazioni nel commercio».
L’ortomercato, ricorda Ursini, si era rivelato terreno di casa dei Morabito di Ardore dopo un blitz della polizia nel 2007. E in provincia gli investigatori scoprono crotonesi e vibonesi sempre più presenti in alta Brianza e Valtellina, nelle provincie di Lecco, Como e Sondrio. Già nel 2006 la procura di Lecco riesce a incriminare 20 persone legate ai clan Coco-Trovato che in zona hanno creato una loro “locale” (come vengono chiamati i raggruppamenti terroriali di ‘ndrine, le cellule familiari dagli affiliati) collegata con i clan Arena di Isola Capo Rizzuto a Crotone e con i potentissimi De Stefano di Reggio.
Dall’analisi di “PeaceReporter”, basata su documenti degli investigatori, emerge una vera e propria geografia lombarda delle cosche calabresi. I Farao Marincola, crotonesi di Cirò Marina, sono presenti nei cantieri e si occupano di recupero crediti, tra Varese Legnano e Busto Arsizio, a ovest del capoluogo, «monopolizzando anche il traffico di cocaina». I Mancuso di Limbadi (Vibo) controllano Monza; nella periferia milanese di Sud ovest, tra Buccinasco, Cesano Boscone e Assago, le famiglie dell’Aspromonte si sono radicate da tre generazioni creando un “consorzio del Nord” che «impone le proprie imprese in subappalto in ogni cantiere, con le buone o con le cattive».
Fanno capo ai Barbaro di Platì, che coordinano le famiglie Perre, Trimboli, Sergi e Papalia, «già inserite negli appalti per l’Alta velocità ferroviaria, come pure al raddoppio della Venezia-Milano; adesso aspettano Pedemontana lombarda e nuova Tangenziale est milanese». Lo scorso marzo, tre pm di Milano hanno chiesto 21 arresti per i compari di Marcello Paparo, imprenditore edile «che riforniva di bazooka i parenti di Isola Capo Rizzuto dalla sua ditta di Cologno Monzese».
Dalle 400 pagine del gip Caterina Interlandi emerge una “cabina di regia” unica delle cosche sugli appalti lombardi, che impongono «quale impresa lavora e quale no» e dividono la torta in parti uguali, anche per la Tav a quarta corsia della A4. «Nella stessa inchiesta – continua “PeaceReporter” – emerge anche un fattore nuovo: queste imprese dai profitti elevati fanno gola anche agli autoctoni, generando una devianza insospettabile: i lumbard che si affiliano alle cosche. Almeno quattro nominativi di contabili, geometri e piccoli imprenditori del Milanese sono stati indicati dalla gip Interlandi».
«Un cancro calabrese si diffonde in Ticino», scriveva sul giornale “TicinoOggi” un deputato locale della xenofoba Udc di Blocher a inizio 2003, dopo che le cosche calabresi avevano fatto saltare nella notte di San Silvestro la pizzeria di un ribelle del clan, fuori Bellinzona. «Il capoluogo del cantone – scrive Ursini – era già allora appannaggio dei crotonesi; tutti di Mesoraca, per la precisione, un paese vicino alla pre-Sila catanzarese».
Ma ora, aggiunge “PeaceReporter”, la cosca Ferrazzo a Bellinzona ha imparato come offrire servizi raffinati ai ‘compari’ che lavorano nel Milanese. Tanto da attirare l’attenzione della Dda milanese che ha investigato insieme con i magistrati svizzeri nell’inchiesta ‘Dirty money’, dove hanno messo sotto la lente due finanziarie di Lugano, la Wsf Ag e la Pf Finanz Ag, «in teoria incaricate di raccogliere capitali svizzeri da investire nel mercato Forex, in realtà collettore di capitali sporchi da riciclare, ma anche di profitti di società lecite, intitolate a uomini dei clan da sottrarre al fisco; le due società sono fallite, decine di milioni di franchi scomparsi, come gli investimenti immobiliari in Spagna e Sardegna, su residence intestati a uomini della cosca Ferrazzo».
Non manca la creazione di nuovi potenti arsenali per i gruppi di fuoco. Cinque kalashnikov, tre mitragliette Uzi, tre pistole Sig Sauer. «Su ordine del boss Trovato le consegnai ad un capofamiglia alleato nel ristorante “Il Portico” di Airuno in Brianza», confidava un testimone di giustizia al gip milanese Vittorio Foschini a inizio anno. «Le forniture di armi erano iniziate nel 2002, dopo che clan rivali nel Milanese avevano ordito un attentato contro Peppe De Stefano e Franco Trovato a Bresso», nella periferia nord di Milano, a ovest di Sesto San Giovanni.
«Gli arsenali – spiega Ursini – vengono preparati in vista della possibile guerra degli “scissionisti”». Per il pm antimafia Pennisi, «inchieste come la Over Size del 2006 dimostrano il graduale affrancamento dei clan calabresi di Lombardia dalla regione d’origine, con la sostanziale autonomia dei nuovi clan brianzoli e milanesi». Una novità segnata dal fatto che le nuove famiglie possono comprendere elementi che provengono da province e paesi diversi, sfuggendo «all’elemento di radicamento con la comunità originale», come ha scritto il magistrato anti-‘ndrangheta Nicola Gratteri nel libro “Fratelli di sangue” (per Mondadori, coautore il criminologo Antonio Nicaso).
«E queste nuove famiglie hanno fame di appalti, di altri soldi», dice Ursini. Tanto da far temere che ben presto, in vista del denaro in arrivo con l’Expo, i kalashnikov si faranno sentire anche in Lombardia. «I sempre più rilevanti interessi nel settore dell’edilizia e dei subappalti per opere pubbliche, possono far saltare alleanze e spartizioni di territorio consolidati da tempo», avvisa la Direzione investigativa antimafia nella sua ultima relazione. Le lupare, infatti, hanno già fatto risuonare i primi colpi: il 27 marzo 2008 Rocco Cristello, ex alleato dei Mancuso caduto in disgrazia, viene ucciso in Brianza; il 14 luglio tocca a Carmelo Novella a San Vittore Olona, territorio dei Farao Marincola, che pagano con il sangue del loro affiliato Aloisio Cataldo, ucciso fuori Legnano il 27 settembre scorso (info: www.peacereporter.net).
MAFIA IN MILAN - ‘Ndrangheta, the powerful mafia from Calabria, increases her business in Milan, by the international Expo 2015. Lombardia is going to become the fourth Italian mafia’s region, and the true “capital” of ’Ndrangheta with her interests on public works, fast railways, highways and financial trades to “clean” the dirty money coming from drugs and racket (info: www.peacereporter.net).
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