Cremaschi: gli usurai d’Europa non avranno i nostri soldi
Sul “Corriere della Sera” qualche giorno fa è uscita una lettera terribile: è un attacco a tutto. Qualcuno ha detto che Draghi è un uomo di cultura, e che va rispettato; io trovo una bassezza da ragionere commercialista della val Brembana, in quel testo, in cui vedo tutto tranne che cultura. Quella lettera è di una violenza inaudita: due privati cittadini – perché questo sono, sostanzialmente, Trichet e Draghi – scrivono al presidente del Consiglio, con un tono di un’arroganza totale, dicendo: abbiamo visto che avete fatto delle cose, però dovreste fare questo, questo e questo. Quando è stata pubblicata quella lettera, in prima pagina, ho pensato: adesso, in Italia, finalmente si apre il dibattito politico; i grandi partiti, i grandi esponenti politici – quelli di destra, quelli di sinistra, quelli avanzati, quelli arretrati, quelli del cambiamento, quelli delle “narrazioni” – si mettono a narrare della lettera della Banca centrale europea. Silenzio totale.
La persona più importante che ha parlato di questa lettera è stato il ministro Sacconi, il quale ha detto: avete visto che avevamo ragione, che ce lo chiedeva l’Europa di fare certe cose? Silenzio. Questo è il regime italiano; questa è la legge-bavaglio che c’è su di noi; questo è il bavaglio che c’è all’opinione pubblica, alle nostre coscienze; il bavaglio che c’è oggi nel nostro paese rispetto ai temi di fondo che riguardano la nostra vita: non se ne parla. Eppure, questa lettera è un programma di governo: scadenzato, rigoroso, brutale.
La nostra iniziativa contro la schiavitù del debito risale a prima della tempesta estiva. E’ circa un anno, un anno e mezzo, che l’Italia è in mobilitazione. Questo movimento – sociale, politico, culturale – che vuole cambiare le cose nel nostro paese ha avuto la scintilla di avvio dal “no” degli operai di Pomigliano a Marchionne, un anno fa. La prima “lettera di Draghi e Trichet” è stata la dichiarazione di Marchionne, quando ha detto: o accettate di ridurre tutti i vostri diritti, oppure il lavoro non c’è più. E la prima risposta è stata quella. E la prima verifica che in Italia c’è un regime padronale che controlla sostanzialmente gran parte del dibattito politico e culturale è dimostrato da come il Palazzo della politica si è confrontato, allora, su quella vicenda; tranne la Fiom e il sindacalismo di base, tutto il resto del mondo politico, sindacale e informativo – di destra e di sinistra – è stato dalla parte di Marchionne, così come oggi è dalla parte del pagamento del debito; questa è la brutalità della situazione.
Da allora, abbiamo avuto movimenti, lotte, iniziative, quasi un continuo passaggio di testimone: gli operai lo hanno passato agli studenti in lotta per il diritto allo studio; ai precari; e poi i migranti: non dimentichiamolo, le lotte dei migranti sulle gru sono state un momento grandissimo di lotta nel nostro paese, ci hanno fatto capire che l’Italia non è più una democrazia – non solo perché siamo commissariati dall’Unione Europea, non solo perché abbiamo un presidente del Consiglio che in qualsiasi paese civile sarebbe già stato cacciato a calci in culo, ma anche perché abbiamo milioni di persone che non hanno i nostri stessi diritti civili: siamo una sottospecie di Sudafrica, c’è un apartheid nei confronti dei migranti che è la prima vergogna del nostro paese, la prima vergogna della nostra democrazia.
Poi c’è stato il movimento delle donne: la grande manifestazione del 13 febbraio fa parte di questa ribellione complessiva, è la rivolta contro il ritorno dell’autoritarismo patriarcale – che c’è dentro la crisi, e che oggi, come una delle prime misure, presenta una delle vergogne più schifose che sono state attuate, l’elevamento dell’età pensionabile delle donne (in questo caso delle operaie) a 65 anni. C’è stato poi il movimento civile, il movimento per la democrazia, e infine c’è stato il referendum, che è stato una specie di sintesi, di tutto, dove 27 milioni di italiani sono andati a votare per dire basta. Non hanno mica detto solo che vogliono l’acqua pubblica e magari accettano che sia privatizzato il rubinetto; non era così il senso del referendum. Il referendum diceva: vogliamo pubblici i grandi beni comuni. Bene, subito dopo c’è stato un golpe economico che ha cancellato le istanze di quest’anno e mezzo di lotte.
E’ stato un vero e proprio golpe economico, che ha ridislocato tutto il confronto politico ed economico su un altro tema: come pagare il debito. Questo ha cancellato tutto il resto. Ci hanno lasciato spazi di nicchia, ma la sostanza è un’altra: i cittadini devono rientrare nelle loro case, i lavoratori devono accettare il super-sfruttamento della globalizzazione, tutti dobbiamo pagare e dobbiamo accettare le grandi priorità, alcune delle quali puramente vergognose: con il consenso bipartisan del Parlamento italiano si è decisa la prima occupazione militare di un intero territorio del nostro paese, la valle Susa, per fare un’opera totalmente inutile e disastrosa, e non c’è bisogno di dire che noi ci siamo parte di quella lotta.
C’è stato però questo golpe, in nome di una cosa che viene sostanzialmente accettata da tutti: bisogna pagare il debito. Anche a sinistra, il litigio non è se si deve pagare o no il debito, ma – almeno nelle parti prevalenti – su come pagarlo; si dice che bisogna farlo con più equità, ognuno deve fare la sua parte di sacrifici – un po’ di patrimoniale e un po’ di taglio delle pensioni, un po’ di licenziamenti e un po’ di investimenti per lo sviluppo – tutti sulla stessa barca: “coesione nazionale”. Un’altra cosa che ci muove, e lo dico senza polemica, è il sereno rifiuto dell’invito del presidente della Repubblica alla coesione nazionale.
Il debito è un “prodotto” che in Italia non ha legittimità. Il 15 ottobre scenderemo in piazza, tutti, insieme agli “indignados” del movimento spagnolo e insieme ad altri popoli, sulla base di un appello che non ce l’ha con Berlusconi: ce l’ha con la Banca centrale europea, ce l’ha coi “programmi di riassetto” del Fondo Monetario Internazionale che sono programmi criminali, che dovrebbero farne arrestare tutti i dirigenti, per crimini contro l’umanità. Ma questo spazio politico in Italia non c’è; nei media, nei grandi schieramenti, nell’alternanza della politica non se lo fila nessuno. E quindi dobbiamo costruire uno spazio politico che abbia la forza di intervenire anche nella politica italiana. Perché ormai è chiaro che il governo Berlusconi è al tramonto, ma non vogliamo farci fregare un’altra volta, come nel 2006: non vogliamo un cambiamento solo di facciata, un’alternanza, sotto lo stesso comando.
La lettera della Bce ha un pregio: quello di averci chiarito qual è il programma di tutti i governi dell’alternanza, a meno che non ci sia un politico, un gruppo dirigente, una rappresentanza, che dica: quella lettera la rimandiamo ai mittenti e non ne rispettiamo neanche le virgole. Questa per noi è la discriminante: chi vuole rimandare quella lettera al mittente sta con noi; chi la vuole accettare (correggere, mitigare) non sta con noi: è una cosa semplicissima, costituente. Noi siamo in una fase in cui le grandi scelte morali e materiali, le grandi scelte economiche, sono costituenti della politica: essere contro Marchionne, contro Draghi e contro Trichet è costituente; chi è contro di loro sta di qua, chi è con loro sta di là; e chi sta in mezzo sparirà – scusate la rima.
Noi abbiamo proposto cinque punti. Ovviamente il primo è: non pagare il debito. Gli interessi sul debito italiano sono oggi al 7%; il Pil italiano cresce dello 0,5%: questi interessi, in rapporto al Pil, si chiamano, tecnicamente, usura. E noi non possiamo pagare l’usura: siamo contro gli usurai, d’Europa e d’Italia; è la premessa. Questo non vuol dire che non vogliamo la patrimoniale o la lotta all’evasione; ma patrimoniale, lotta all’evasione e cambiamento della struttura della spesa pubblica – ad esempio: via le spese militari, via i costi delle missioni di guerra subito – non devono servire a pagare il debito: devono servire a pagare case, scuole, ospedali, istruzione, formazione. Vogliamo questi soldi per noi.
Pochi giorni fa, quando la Commissione Europea – o meglio una parte, perché gli inglesi sono contro – ha dichiarato che forse faranno una piccola “Tobin Tax”, di fronte alla contrarietà degli inglesi Barroso ha detto: ma guardate che noi alle banche abbiamo già dato 4.600 miliardi di euro perché non fallissero. E attualmente si sta discutendo non di 400, ma di 3.000 miliardi di euro che vengono dati non per ripianare il debito – questo è il grande imbroglio – ma per impedire che perdano profitti o che vadano male le banche che detengono il debito. Questi soldi vanno alle banche, non al debito e neanche al debito pubblico; vanno ai profitti delle banche. Questi 3.000 miliardi li diano a noi, ai cittadini, agli investimenti, alla scuola; questo serve per l’economia. E quindi diciamo con chiarezza: questo debito non può e non deve essere pagato.
Ci vuole un’altra politica economica: questa è la discriminante. Poi avremo le altre scelte: sulla giustizia per il lavoro, per una nuova economia. Una data importante: il 27 settembre. E’ stato il momento del default della Terra. Da quel giorno in poi, l’economia terrestre della competitività consuma più risorse naturali di quelle che la Terra riesce a reintegrare. Ci preoccupano tre default: quello della Terra, quello dei cittadini – le famiglie che non ce la fanno più ad arrivare a fine mese, a pagare i mutui, a pagare niente, nemmeno le tasse universitarie – e quello dei diritti sociali: l’espropriazione di democrazia. Questi sono i nostri default; quello delle banche è il loro default. Noi siamo creditori; loro sono debitori. Questo è il punto. Da qui viene la nostra piattaforma.
Infine, la democrazia: questa parola di cui si riempiono la bocca tutti. La democrazia: il popolo deve decidere, il popolo ha deciso. In Italia, il popolo non decide un cavolo. Abbiamo in mente qualcosa? Sì, l’Islanda. Perché no? Vogliamo decidere, e allora? Hanno così paura? Penso che oggi la maggioranza del popolo italiano è ancora convinta che bisogna pagarlo, questo debito, e che non si può fare a meno di tagliare. Bene, io penso che questa sfida la lanciamo a mare aperto: se siete così convinti di avere ragione, fateci votare. Fateci decidere. Permettete che siano in campo due alternative: quella che dice “accettiamo la lettera e i vincoli europei” e quella che dice “basta con questi vincoli europei, vogliamo una nuova economia”. Facciamole scontrare, vediamo chi vince: ma non hanno il coraggio di farlo. E non solo perché hanno paura che magari, chissà, può succedere qualcosa; ma anche perché questo gli rompe i giochi del paniere, perché ci dev’essere ancora una politica finta, che litiga su tutto, tranne che sulle cose vere. E questo aprirebbe scontri e schieramenti su un piano diverso, romperebbe questa ridicola alternanza.
Non facciamo finta che gli “indignados” spagnoli non parlino di politica, che siano vecchi movimenti: gli “indignados” spagnoli chiedono la proporzionale, perché vogliono avere un Parlamento che sia specchio del paese, e non sono in lotta contro un governo di destra: sono in lotta contro un governo di sinistra che ha adottato tutta la politica della destra. Noi vogliamo costruire un movimento sociale e politico che intervenga su tutte le questioni della politica partendo dal rifiuto della schiavutù del debito, che oggi è la schiavitù dei popoli. Io sono sempre stato internazionalista: e voglio che i popoli europei rovescino la dittatura delle banche. L’Europa oggi è questo: è sotto una dittatura speculativa e bancaria; è questa dittatura che deve uscire dall’Europa, non noi: sono i popoli d’Europa che devono riconquistare potere e democrazia.
(Giorgio Cremaschi, estratti dall’intervento all’assemblea del 1° ottobre a Roma “Noi il debito non lo paghiamo”; intervento integrale nel video).